NEWS

Tutte le ultime notizie, le nostre idee ed i nostri interventi in Consiglio Comunale.

14 Aprile 2019
Admin_D.

Il secondo appuntamento con la rassegna “artisti contemporanei al castello” ha visto come protagonista M’Horò. Si tratta di un artista di grande interesse e originalità. Innanzitutto perché ha scelto di rimanere nell’anonimato. Questa vuole essere una forte provocazione alla nostra epoca contemporanea fortemente interessata da una componente narcisistica. Se la sua persona resta nell’anonimato e non immediatamente riconoscibile, inevitabilmente l’attenzione si deve concentrare sulla sua produzione senza facili e immediate letture personalistiche: le opere devono innanzitutto raccontare dei valori, limiti e tensioni del nostro tempo presente.

Ma la provocazione e la sua “diversità” non si ferma a questo particolare: il materiale di partenza da cui si dipana la sua attività produttiva è lo scarto industriale, il rifiuto di un’attività produttiva di tipo lineare che si esaurisce in una discarica. E tra la grande varietà di scarti del nostro panorama industriale, M’Horò sceglie dei radiatori che vengono sottoposti ad una intenso processo ri-creazione. Infatti questi pezzi giunti a fine vita vengono rianimati con contorsioni, tagli, piegature e colpi di colore. È come se il gesto artistico insufflasse nuova vita in ciò che era dato per spacciato, inutile e problematico. L’apocalittico diviene evento di una nuova genesi.

Le pieghe, le contorsioni ma soprattutto lo struggente dialogo delle lamelle in alluminio con i tubi in rame richiamano e per certi versi superano la lezione di Burri circa il primato della materia che con inaudita forza cerca di riprendersi nuove forme identitarie. Infatti se il maestro di Città di Castello aveva rivendicato il primato della materia sulla forma, lo scarto industriale rianimato di M’Horò è in grado di riappropriarsi di una nuova bellezza che scaturisce dal “vibrare” delle lamelle all’esposizione luminosa. È come se M’horò ci dicesse che “In principio era la luce”. Prima addirittura della materia. Ma la luce ha bisogno della materia per essere percepita come riflesso di questa. Questa peculiarità lo fa essere un artista riconoscibile e immediatamente identificabile in grado di risignificare contenuti nuovi che ora possono richiamare l’araldica dei Martinengo-Colleoni, le torre sghembe dello skyline del postmoderno (i due temi della mostra di Cavernago), o come gli strumenti musicali compressi verso nuove sinfonie, o come i recenti cavalli (le recenti mostre di Cremona e Siena).

Il suo sembra essere un linguaggio elementare. E lo è. Ma proprio questa “elementarità” è in grado di suscitare profonde emozioni, di scuotere sia l’uomo della strada che l’intellettuale più esigente.

M’Horò non cessa di stupire. E a distanza di quasi due anni da quella mostra continuo a trovare la eco di nuove suggestioni che non si sono ancora esaurite.

Roberto Palazzini

Ps: il maestro ci ha lasciato un’opera molto bella che è esposta al passaggio del municipio che porta alla biblioteca.